Novità sul Comandante Diavolo
Data: Venerdì, 17 giugno @ 14:22:23 CEST Argomento: Personaggi del Mondo ramblers
Il 'Diavolo' non dimentica
Nicolini innocente dopo 50 anni: l'amaro silenzio
L'uccisione di don Umberto Pessina ha fatto discutere per mezzo secolo. Tre innocenti (Germano Nicolini, Ello Ferretti e Antonio Prodi) finirono in carcere dopo l'omicidio del 18 giugno 1946, nonostante l'ammissione di responsabilità da parte di due dei tre veri partecipanti alla ronda davanti alla canonica (Cesarino Catellani ed Ero Righi, all'epoca condannati per autocalunnia).
Al testimone chiave del delitto, Antenore Valla, la «confessione» fu estorta con la tortura (un cerchio metallico stretto attorno al cranio) dagli uomini del capitano dei carabinieri Pasquale Vesce, guidato nelle indagini dal vescovo Beniamino Socche. I tre innocenti furono condannati a 22 anni, di cui una decina scontata in cella. Vesce ottenne dal Papa la commenda pontificia dell'Ordine cavalleresco di San Silvestro e divenne generale.
Nel 1990 l'onorevole Otello Montanari invitò a fare luce sui delitti del dopoguerra, e il procuratore Elio Bevilacqua riaprì il caso. William Gaiti, il terzo della ronda, confessò di avere sparato a don Pessina. Nel 1993 la Corte d'assise di Perugia prosciolse Gaiti, Righi e Catellani in virtù dell'amnistia del 1946 sui delitti del dopoguerra; nel 1994 la corte d'appello assolse Nicolini, Ferretti e Prodi.
Germano Nicolini, classe 1919, cattolico, comandante del terzo battaglione Sap della 77ª brigata Manfredi con il nome di «Diavolo», fu arrestato poco dopo essere stato eletto sindaco anche con i voti Dc. Dopo la condanna come mandante dell'omicidio, fu radiato dall'esercito e interdetto dai pubblici uffici. Assolto 45 anni dopo il delitto, ha ottenuto la medaglia d'argento al valore militare.
Nel novembre 2000 il ministro Gianni Mattioli durante un incontro pubblico ha chiesto scusa a Nicolini a nome del padre Pietro, che nel 1953, in qualità di pubblico ministero, chiese e ottenne la sua condanna. Gianni Mattioli all'epoca vide venire per due volte monsignor Socche a casa sua per chiedere al padre pubblico ministero la condanna del «Diavolo».
Nicolini fu stritolato prima dalla Chiesa, che cercava a tutti i costi un capro espiatorio per i delitti post-bellici e lo trovò nel giovanissimo partigiano e sindaco dell'Emilia rossa; poi dal partito comunista, al quale lui, cattolico, aveva aderito perché all'epoca - quando non si conoscevano le aberrazioni cui il comunismo avrebbe portato nel mondo - credeva che quella fosse la vera strada per mettere in pratica il Vangelo, dopo 2000 anni di potere spirituale e temporale da parte della Chiesa. Il Pci, prima omertoso e poi contrario alla revisione del processo, non fece nulla: preferì far restare in galera tre innocenti che non potevano rivelare nulla sui veri colpevoli e sulle coperture del partito.
Ora Nicolini non vuole commentare la vicenda che ha stravolto la sua vita, anche perché sono ancora in piedi una querela fatta (al professor Spreafico) e una ricevuta (dagli eredi dell'avvocato Grandi, vicesegretario Dc dell'epoca) per quanto è stato pubblicato in questi ultimi anni. Anche per questo Nicolini non riesce a dimenticare la «macchinazione» che ha travolto una persona onesta, un bravo giovane che si trovò nel posto sbagliato (sindaco della rossa Correggio) nel momento sbagliato.
TRATTO DALLA ''GAZZETTA DI REGGIO''.
Riceviamo e pubblichiamo: modenacity ci manda questo articolo uscito sulla Gazzetta di Reggio. Grazie mille!
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