In Patagonia di Bruce Chatwin
In Patagonia
- Bruce Chatwin
- Adelphi
Per
chi ha letto "Patagonia Express" di Sepulveda ricorderà certamente
l'incontro tra un inglese e un cileno nel caffè Zurich di Barcellona.
- Patagonia - dicevano
Coleridge e Melville, per significare qualcosa di estremo. « Non c'è più che
la Patagonia, la Patagonia che si addica alla mia immensa tristezza» cantava
Cendrars agli inizi di questo secolo. Dopo l'ultima guerra, alcuni ragazzi inglesi,
fra cui l'autore di questo libro, chini sulle carte geografiche, cercavano l'unico
luogo giusto per sfuggire alla prossima distruzione nucleare. Scelsero la Patagonia.
E proprio in Patagonia si sarebbe spinto Bruce Chatwin, non già per salvarsi
da una catastrofe, ma sulle tracce di un mostro preistorico e di un parente
navigatore. Li trovò entrambi e insieme scoprì ancora una volta l'incanto del
viaggiare, quell'incanto che è così facile disperdere, da quando ogni luogo
del mondo è innanzitutto il pretesto per un inclusive tour. Eppure, eccolo di
nuovo: l'inesauribile richiamo, il vagabondo trasalire di un'ombra - il viaggiatore
- fra scene sempre mutevoli. E nulla si rivelerà così mutevole come la Patagonia,
che si presenta come un deserto: «nessun suono tranne quello del vento, che
sibilava fra i cespugli spinosi e l'erba morta, nessun altro segno di vita all'infuori
di un falco e di uno scarafaggio immobile su una pietra bianca». All'interno
di questa natura, che ha l'astrattezza e l'irrealtà di ciò che è troppo reale,
da sempre disabituata all'uomo, Chatwin incontrerà un arcipelago di vite e di
casi molto più sorprendente di quel che ogni esotismo permetta di pensare. Questa
terra eccentrica per eccellenza è un perfetto ricettacolo per l'allucinazione,
la solitudine e l'esilio. Qui coloni gallesi versano il tè fra i ninnoli; qui
circolano folli, che si trasmettono il titolo di re degli Araucani o coltivano
la memoria di Luigi II di Baviera; qui s'incontrano ancora elusivi ricordi di
Butch Cassidy e Sundance Kid; qui si respira l'aria dei grandi naufragi; qui
esuli boeri, lituani, scozzesi, russi, tedeschi vaneggiano sulle loro patrie
perdute; qui Darwin incontrò aborigeni dal linguaggio sottile, e li trovò così
«abietti» da dubitare che appartenessero alla sua stessa specie; qui si contemplano
unicorni dipinti nelle caverne; qui sopravvive qualcuno che vuol far dimenticare
un atroce passato. Come un nuovo W.H. Hudson, devoto solo al «dio dei viandanti»,
Chatwin ci racconta le sue molte tappe: fra baracche di lamiera, assurdi chalets,
finti castelli, vaste fattorie. E ogni tappa è una miniatura di romanzo. Alla
fine, la Patagonia sarà per noi pullulante di fantasmi, che si muovono sul fondo
della «calma primitiva» del deserto, nella quale Hudson credeva di riconoscere
«forse la stessa cosa della Pace di Dio».