27 GENNAIO: PER NON DIMENTICARE
Voi
che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli. ( PRIMO LEVI , Se questo è un uomo,
Einaudi)
SESSANTA ANNI DOPO AUSCHWITZ
di Amos Luzzatto
Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Decorrono
quest’anno, nel Giorno della memoria, i 60 anni dalla liberazione del campo
di sterminio di Auschwitz, data simbolica, che è stata appunto decisa
per ricordare che cosa è stato, prima ancora del momento indimenticabile
della sua liberazione, che cosa ha rappresentato quel campo per quei terribili
tre anni della sua esistenza. Come sempre, queste ricorrenze ci sollecitano
a un esame di quanto abbiamo fatto in questi anni, di che cosa ci proponiamo
di fare man mano che i superstiti, i pochi reduci tornati vivi da quell’inferno,
vanno scomparendo.
“Perché non succeda mai più”. Questa è la vera
e propria parola d’ordine che ricorre in questa circostanza. E’ giusta?
E’ sufficiente?
Non abbiamo dubbi sul fatto che sia giusta e che ripeterla ogni anno in questa
giornata, lungi dal banalizzarla, dovrebbe rafforzarla e soprattutto farla diventare
un patrimonio stabile della coscienza individuale e collettiva.
Forse però dobbiamo riconoscere che non è sufficiente. Il problema
è non tanto che cosa affermiamo, ma che cosa abbiamo fatto e che cosa
intendiamo fare, sul piano educativo, sul piano dell’informazione, persino
sul piano della sicurezza.
L’antisemitismo, a sessant’anni da allora, non è certamente
scomparso e riaffiora, alimentando e insistendo su vecchi pregiudizi antiebraici,
sia su quelli teologici che speravamo essere in via di estinzione dopo il Concilio
Vaticano II, sia su quelli genericamente o specificamente razzistici che circolano
insidiosi soprattutto fra molti giovani, sia su quelli politici che possono
diventare fonte di violenza, se non si provvede con adeguati strumenti di chiarificazione.
Dobbiamo dunque adeguare il nostro auspicio, la nostra volontà, il nostro
senso di solidarietà e la stessa nostra speranza per un futuro di fratellanza
umana, ai problemi del presente e alle sue persistenti minacce. Senza fare di
questa sacrosanta battaglia un compito di ristrette schiere di specialisti,
ma facendone un patrimonio di tutti, un patrimonio da conservare e da sviluppare;
appunto, “perché non succeda mai più”.