La lunga attesa
Data: Domenica, 07 novembre @ 02:48:43 CET Argomento: Succede nel Mondo
Gerusalemme (Israele-Palestina)
Non è la tristezza pesante e riconoscibile dei funerali, quella che si percepisce nelle parole e sui volti dei palestinesi. La morte del presidente Arafat ormai è quasi una certezza, eppure sembra che ci sia un generale senso di attesa per un responso più certo, come se ancora fosse troppo presto per lasciarsi andare alle emozioni.
"Certo, la gente è triste e dispiaciuta per quello che è successo ad Arafat", mi ha detto il mio vicino di casa di Abu Dis, a pochi chilometri da Gerusalemme, "ma non così tanto, come se fosse successo qualche anno fa". Non ci sono dubbi che con Arafat non se ne vada solo un uomo politico, ma anche un simbolo della lotta del popolo palestinese contro l'occupazione israeliana. Eppure, la stanchezza della gente e la perdita di fiducia verso i propri leader, sono sentimenti che ormai tanti palestinesi non nascondono.
"Sono dieci anni che Arafat è a capo dell'Autorità Palestinese e che cosa è cambiato? Niente!", mi ha detto un negoziante di Gerusalemme est, dopo avermi risposto che lui non si sentiva triste per Arafat e che "in fondo la morte è un fatto naturale, arriva per tutti prima o poi".
Parlando con la gente per le strade di Gerusalemme, ho visto volti più addolorati di altri, ho trovato persone sinceramente affezionate ad Arafat, ma non disperazione.
A volte, semmai ho trovato la rabbia, rabbia contro tutti i politici che non sono stati in grado di fare niente per il popolo palestinese.
Oppure qualcosa di simile all'indifferenza, come se la vita quotidiana della gente fosse distante anni luce dai meccanismi della politica e come se neppure Arafat rappresentasse più una guida effettiva, di fronte alle difficoltà dell'occupazione. "Insomma, se Arafat non potrà più essere presidente, troveremo qualcun altro", mi ha detto con il sorriso sulle labbra un venditore di succo di carruba e tamarindo, appena fuori dalle mura della città vecchia.
"Arafat o qualcun altro che differenza fa?", ha aggiunto rassegnato un altro signore che stava facendo compere sulla via Salah Ed-Din, "più che per Arafat è per l'occupazione che soffriamo ogni giorno, quante persone sono morte mentre lui stava seduto sulla sua poltrona?".
Ma se questa è una reazione diffusa alla perdita di Arafat come presidente, dall'altra parte nessuno sembra avere le idee troppo chiare su cosa potrebbe succedere in futuro e su chi potrebbe prendere il suo posto.
"Il problema è che non riesco a vedere nessun altro leader in questo momento per i palestinesi", mi ha detto un giornalaio che ha un negozietto appena fuori dalla Porta di Damasco. La sensazione è che in generale nessuno riponga particolare fiducia in quelli che sono stati ipotizzati come suoi possibili successori, Abu Ala e Abu Mazen. Se ad Arafat, nonostante le critiche, viene in generale riconosciuta una certa coerenza e onestà, la stessa cosa non vale per l'attuale e per l'ex primo ministro, accusati di corruzione e di essere capaci solo di arricchirsi senza preoccuparsi delle sofferenze del proprio popolo. Ma nella generale incertezza verso il futuro, c'è anche qualcuno che mantiene un pò di speranza.
"Certo non sarà facile", mi ha detto uno studente universitario di Abu Dis, "ma forse l'uscita di scena di Arafat, sarà l'occasione per innescare il cambiamento di cui abbiamo bisogno, l'occasione per eleggere noi stessi un nuovo presidente". Non so dire se si tratti di un giudizio troppo ottimista, ma speriamo che possa davvero essere un buon auspicio per il futuro.
Intanto stamani Gerusalemme si è svegliata come in un qualsiasi altro venerdì di Ramadan. Dai dintorni della città centinaia di persone hanno cercato di raggiungere la moschea di Al Aqsa per la preghiera di mezzogiorno. Come ogni venerdì tanti sono stati respinti prima di arrivarci, a causa dei blocchi e dei controlli dei soldati, che autorizzano solo chi ha la carta d'identità valida per Gerusalemme ad arrivare in città.
La moschea di Al Aqsa ormai è solo un ricordo per la maggior parte dei palestinesi, o un desiderio. Chissà se quello espresso da Arafat, di essere seppellito sulla Spianata delle Moschee, rimarrà tale.
"Non sarà né la volontà di Arafat, né quella dei palestinesi a decidere dove il suo corpo sarà seppellito", mi ha detto un altro signore incontrato per strada, "tutto dipende da Israele". A giudicare dalle dichiarazioni del primo ministro israeliano Sharon, che ha escluso categoricamente che la volontà di Arafat possa essere rispettata, tutto sembra davvero dipendere da Israele. Purtroppo, in una città come Gerusalemme, anche il rispetto per la volontà dei morti può diventare un argomento troppo politico.
Da PeaceReporter, dalla corrispondente Leila Tamimi
|
|