Il monologo teatrale interpretato da Bebo Storti
MAI MORTI
di Renato Sarti
con Bebo Storti
(il
protagonista, in pigiama, è seduto sul bordo del letto davanti ad un
tavolo. E’ notte profonda) Un giorno un parlamentare di sicura fede fascista
dice più o meno così ad un ex perseguitato politico ebreo comunista:
"Anche se su barricate opposte tutti e due abbiamo lottato per il bene
del nostro paese". E l’altro: "Sì ma con una differenza:
siccome abbiamo vinto noi tu stai seduto sugli scranni del Parlamento; se vincevate
voi io sarei ancora in galera se non peggio!". E’ gente abituata.
Mai rivolgere la parola a quelli, hanno sempre una risposta pronta, non li becchi
facilmente in castagna. Negli anni sessanta settanta nelle banche, nelle piazze,
sui treni, si era versato sangue innocente? La morte di qualche poveraccio non
può arrestare i grandi mutamenti, anzi è il più efficace
propellente. Lo diceva il vecchio Peppino "la democrazia è un’infezione
dello spirito". Ai funerali di piazza Fontana si doveva fare il gran botto
finale. Bastava un ordigno solo e nemmeno ad alto potenziale. La ressa, qualche
provocatore avrebbe scatenato un cataclisma controllabile solo da un regime
dai muscoli forti come quello greco dei colonnelli. Con a capo di stato magari
uno Scipione, un Marcantonio, un Valerio, anche un Maria, purché principe
e borghese sia. "Una faccia una razza": la convinzione di poter fare
come loro era grande. Stessi programmi, stessi istruttori militari, stesse menti
organizzative, americani CIA e ex waffen SS in testa, ma anche portoghesi di
Salazar, spagnoli franchisti, ex camerati di tutti i paesi, con sostegni autorevoli
quale quello dell’Opus Cenacoli e con un’esperienza alle spalle accumulata
in ogni parte del globo. Allora si riusciva a scaraventare anarchici dalla finestra,
raccontare frottole a destra e a manca e farla sempre franca. responsabili della
giustizia, della difesa, dell’esercito e degli apparati segreti, eran tutti
camerati riciclati che garantivano depistaggi e coperture. Dopo quella grande
stagione delle stragi è subentrato un lungo periodo di stasi. Da allora
qualcuno si è disperso, qualcun altro non si è più ripreso.
Altri ancora operano nel settore televisivo che alla lunga si rivelerà
sicuramente decisivo anche se il mio è decisamente più circoscritto:
(estrae una pistola dal cassetto) Pistola Steyer doppio caricatore automatico,
sempre oliata pronta. Apparteneva a una SS. (prende in mano anche un frustino)
Queste mani, da trent’anni inoperose, prudono e se non trovano sfogo...
se non trovano sfogo la mia mente è costretta a trovare rifugio in episodi
lontani, sacri e cari. (beve un sorso ingerendo qualche pastiglia. Getta le
ciabatte e infila gli stivaloni)
MUTI/PICCOLO Faccio educatamente la fila, compro il biglietto, prendo posto
in una delle poltroncine in fondo alla galleria o alla sala e quando la luce
di questa lentamente si abbassa… infilo i tappi nelle orecchie… (esegue)
socchiudo gli occhi, dimentico quei quattro cialtroni sul palco, "La resistibile
ascesa di Arturo chi?", mi immergo nel buio più pesto e solo a quel
punto da Piccolo diventa davvero enorme quel teatro. A fine della rappresentazione
vado nei camerini a complimentarmi con questo o quel divo. Il pavone non può
rendersi conto che il mio sguardo ansioso scivola altrove, finestre, pareti,
pavimenti. Una sarta usa un ferro da stiro; ai tempi se ne sarebbe fatto ben
altro uso! E’ per volere del duce che la Ettore Muti è elevata a
Legione autonoma. Vanta di essere alle dipendenze dirette dei generali tedeschi
ma in quanto a torture non ha bisogno di niente e nessuno. "La Muti",
quel nome nella mia mente rimbomba ancora glorioso. Pugni, schiaffi, calci sulla
faccia e in ogni parte del corpo, costole, denti, setti nasali spaccati o fratturati.
Colpi particolarmente violenti allo stomaco e alla regione cardiaca; pestaggi
con sacchetti di sabbia e con stivali pesanti per impronte durature; calcio
del fucile, nerbi di bue, scudisci e bastoni a forma di clava. Le punture di
scopolamina procurano paresi di un lato del corpo, obnubilamento, incoscienza.
Tecnicamente con uno strumento flessibile e terminante in una sfera metallica
grossa come una noce colpisci ripetutamente sulla fronte!. Tutto si spella,
si fa grumo. Una volta, non quello battuto, ma il compagno che assiste sbraita:
"Basta! Basta! Purché smettiate parlo io! Parlo io!". Tanto
i corpi di entrambi li ritroveranno in quel di Bruzzano. La nostra particolarità
consiste (con il sedere in equilibrio su uno sgabello) in pestaggi violenti
sul prigioniero steso con il sedere su uno sgabello. Quando crolla non si fa
altro che rimetterlo nella posizione e si riprende. Ci sono anche le foto. Si
calpestano i polpastrelli delle dita, si spezzano le mani e con le pinze si
strappano una per una le unghie. A volte si tortura i figli per far parlare
il genitore. Particolarmente divertenti le esecuzioni finte; tremano come foglie.
Più di uno cerca il suicidio ovviamente. I testicoli si possono colpire
in vari modi ma strizzati forte nel cassetto diventano come grossi limoni. Violenze
prolungate portano alla rottura dei tessuti dell’ano. "Sono più
stanco qua che quando lavoravo all’Alfa Romeo", protesta uno dei nostri
scagnozzi, "il boia". (ridacchia) In piazza Lavater, via Mercanti
a Quinto Romano, in via Tibaldi, al Giuriati, in Caltignana e a Bruzzano, a
Camerino, sulla strada fra Rogoredo e Melegnano ci sono le targhe, ci sono,
ma non le legge nessuno! "Ce ne freghiamo della galera. Ce ne freghiamo
della morte!". Il comandante Spadoni, nel 1947 viene condannato a 24 anni,
il 4 gennaio del 1952, anniversario della Repubblica di Salò, sfila in
libertà e divisa nera con altri 78 camerati davanti a Rodolfo Graziani
nella sua tenuta nell’Agro Pontino. Sua Eccellenza il Vice ré Graziani...
mi proietta molto più indietro, alle prime e irripetute grandi gesta
dell’impero. Debrà Libanòs. Debrà Libanòs.
(infila i pantaloni della divisa della repubblica di Salò o della decima
mas) DEBRA' LIBANOS Addis Abeba. Le granate che lo mancano solo in parte nell’attentato
del 19 febbraio 1937, per Graziani non sono una iella bensì una vera
e propria manna. Da tempo non fa altro che spedire telegrammi su telegrammi:
"Bruciate e distruggete tutto ciò che è possibile bruciare
e distruggere"; "Dobbiamo continuare l’opera inesorabile di distruzione
totale". Mentre… nelle notti seguenti per rappresaglia, interi quartieri
di Addis Abeba risplendono a giorno per il bagliore delle migliaia di tucul
dati alle fiamme… Mentre... risulta impossibile tenere il conto degli autocarri
necessari per ripulire la città dai tremila civili sparsi lungo le strade
in solo tre giorni… Mentre... si procede alla eliminazione fisica di gran
parte degli esponenti della intellighenzia etiopica, e cinque piroscafi ne deporta
centinaia nei campi di concentramento in Italia, la stessa figlia di Hailé
Selassiè finisce con i figli a Torino… Mentre... Graziani telegrafa,
Mussolini approva "che tutti i cantastorie, indovini e stregoni",
fondamentali punti di riferimento culturale e religioso per le popolazioni,
sovversivi che fra l’altro predicono l’imminente ritorno del Negus,
"siano passati per le armi"… Mentre... nell’intera regione
dello Scioa le rappresaglie raggiungono i 6000 morti... a 90 chilometri di Addis
Abeba, ai monaci della comunità copta di Debrà Libanòs
ridotta allo stremo… come in una favola si presenta una formazione di carabinieri
che non squarta, non fucila, non brucia: offre cibo, denaro e si pone a difesa.
Non ha alcuna importanza che non sia provata l’attività sovversiva
a Debrà Libanòs, Graziani già il 7 marzo sa cosa vuole:
"Si assicuri che l’intero monastero passi un brutto momento",
e soprattutto il quando: 20 maggio? Tre mesi dopo? Durante le celebrazioni di
San Mikael? Aaah... capisco, ressa di fedeli assicurata. Graziani, che mente!
Protetti dalla guarnigione gli ingenui copti invitano i fedeli ad accorrere
più numerosi per il prossimo San Mikael. Perfetto ufficio propaganda
per un massacro non immaginano che di lì a poco non verrà un ufficiale
qualsiasi bensì - un cognome una garanzia; come potrebbe venir su storto
un suo figlio? - Maletti Pietro Senior Generale: 115.422 tucul incendiati; tre
chiese; un convento; 2.523 trucidati. Dove arriva la sua furia devastatrice
la popolazione, con bestiame e masserizie si infratta atterrita nei valloni,
nelle pieghe del terreno e nelle numerose grotte della regione. Per le operazioni
più delicate – evirare o squarciare ventri di donne in cinta –
si avvale dell’apporto di feroci guerrieri tribali locali, fra i quali
gli ascari. Mentre fervono i preparativi a Debrà Libanòs, un abba,
un sacerdote, intuisce quello che accadrà ma rimane inascoltato. Un eremita
che vive in una grotta lì vicino gli appare in sogno l’immane che
incombe, avverte, cerca di persuadere, ma alla fine se ne fugge da solo. La
trappola scatta la mattina del 18. I pellegrini più smaniosi che arrivano
con due giorni di anticipo al posto delle icone si trovano le truppe di Maletti
appostate sulle colline come santini. (sorride sinistramente compiaciuto) I
poveretti realizzano che il dispiegamento di forze non può, non può
essere lì per un semplice presidio. A fine giornata si trovano rinchiusi
nella chiesa di Debrà Libanòs gremita e rinserrata forte come
una prigione. L’amministratore trasferisce immediatamente nello scantinato
una parte dei bambini, del personale di servizio e dei suoi sottoposti. La notte
passa calma, si prega. (come una preghiera) "Per evitare l’inferno
qui in terra, a capo delle tue celesti milizie, San Mikael discendi per una
volta soltanto dal tuo paradiso!". (ripete due volte poi sorride) Il telegramma
di Sua Eccellenza il viceré Graziani parla chiaro: "Si proceda alla
esecuzione sommaria di tutti i monaci senza distinzione, incluso il vicepriore".
Dopo due giorni di flusso continuo la mattina del 21 maggio, venerdì,
i prigionieri vengono condotti a Laga Wolde, un appartato anfiteatro naturale
fra colline e dirupi, dove si può urlare, dimenarsi, mitragliare a volontà,
tanto incassata com’è, quella magnifica piana è muta, cieca,
sorda. Per risparmiare tempo al posto di singole bende sulle teste degli uomini
fatti scendere dai camion viene calato un apposito telo nero. Echeggiano le
esecuzioni; un plotone di ascari provvede al colpo di grazia e a preparare il
telo per il turno successivo. Si procede senza intoppi, celermente. Ai piedi
della piana l’alveo secco del torrente Fincha Wenz alle sei del pomeriggio
è tutto inzuppato dell’unica sfumatura di rosso che a noi piace.
Se ogni camion può portare dai trenta ai quaranta elementi e la colonna
è composta da trentanove camion… la rapidità dell’operazione
è presto calcolata: dai 1.200 ai 1.600 in una decina di ore. A questi
vanno aggiunti altri 400 uccisi il 26 maggio in un’altra piana in fosse
preparate cinque giorni prima. Non bastano i fucili. Si mitraglia. Prima della
sventagliata finale, nell’esaltazione del martirio, convinti di un miracoloso
trasferimento diretto come martiri in paradiso, i diaconi levano alti al cielo
libri di David e inni di gioia. Altri trenta giovanissimi diaconi finiscono
nel campo di Danane che nulla ha da invidiare a lager futuri ben più
noti. Sulla metà dei 6-7000 internati che sopravvive c’è
anche il dodicenne Tebaba Kassa che ha evitato, questo sì miracolosamente,
entrambe le esecuzioni. Ne abbiamo ucciso non meno di un milione in Africa,
bambini compresi, cosa diavolo si è pensato di lasciare in vita quel
moccioso, uno dei pochi, se non l’unico, testimone ad aver assistito dall’inizio
alla fine della strage. Ah... l’amministratore, dopo aver rinchiuso bene
i bambini, i sottoposti e il personale... esce, lo prendono e lo fucilano con
in tasca la chiave di una porta di un monastero del XIII secolo. Se non bastano
i calci e i pugni degli adulti a figurarsi se - nonostante la fame e la sete
che li divora - se le unghiette dei bimbi possono incidere un legno stagionato
pietra. Li trovano, si può immaginare in che stati, 40- 45 giorni dopo,
facile la rima con "... fine del topo". Il Vaticano cosa? Si dimenticheranno
di loro? Ma quando mai se ne sono accorti? (ridacchia) Per reliquie e ossicini
di altra pelle o nazione Ben altri eserciti si sarebbero messi in azione Ma
quali martiri o santi? Son negri, son copti, son diversi Altro che cippo alla
memoria di bianco alabastro quello che avvoltoi e iene hanno risparmiato a più
di settanta di distanza è il loro vero unico sacrario (Si mette la camicia
della divisa) "Con i negri", lo scribacchiava una penna illustre fin
dalle sue giovanili esternazioni: "Con i negri non si fraternizza, non
si può, non si deve!". E’ la stessa penna che afferma che in
Africa non siamo ricorsi al gas. (sana risata) Il gas noi lo abbiamo usato eccome.
Va bene che oggi ci si scandalizza per quattro fischi ad un centrocampista negro
allo stadio, ma perché vergognarsene? Con tutto quel via vai di telegrammi,
depositati negli archivi di Stato fra Graziani e Mussolini, Mussolini e Graziani,
e soprattutto Mussolini dà e per Badoglio. Se poi uno storico importante
su decine di migliaia di pagine dedicate al bel ventennio ai gas dedica solo
un rigo, uno solo, beh… beh felice lui felice tutti! Del gas il problema
non è il suo utilizzo o meno, su quello son tutti d’accordo, ma
la società delle Nazioni che dal ‘25 ne ha bandito l’uso. Mussolini
è costretto telegrafare il 5 gennaio ‘37: "Sospendere l’impiego
dei gas sino alle riunioni ginevrine… ". Badoglio se ne fotte e 4
giorni dopo telegrafa: "Impiego iprite si è dimostrata molto efficace.
Circolano voci di terrore per effetti gas". L’iprite, the mustard
gaz, per il suo odore piccante, dei tanti gas il peggiore - bomba C/500-T -
provoca ustioni terribili, e necrosi del protoplasma cellulare: distruzione
delle cellule. Chi beve l’acqua contaminata muore fra grida atroci e dopo
un paio di giorni la carne si stacca a lembi. E’ ottimo anche perché
non agisce solo sulle popolazioni ma anche su bestiame, fiumi, pascoli e laghi.
Chi dice 2.000 bombe scaricate, chi 2.500, chi 3.000, in gran parte di iprite,
per un totale non meno di cinquecento tonnellate. A fine anni trenta l’allora
ministro dell’Africa italiana Terruzzi si reca in visita dal Mons Iannone
dell’Ordine di Malta il quale, per abbellire un viale della sua residenza,
usa 32 civettuoli vasi alti due metri: "Bossoli vuoti di bombe di iprite
esplosi? Dove li ha raccattati?". "Qua e là, un po’ dappertutto".
"Rimuovere i bossoli e Mons Iannone… a casa!". CONEGLIANO/MANIAGO:
DECIMA (è quasi in divisa) "Vogliamo casa Savoia – noi siamo
dei figli di troia – noi siamo della decima mass". Alle dipendenze
dirette di Kesserling, Mussolini ci teme. La Spezia, Vittoria, Friuli ’44,
Maniago… il castello di Conegliano Veneto, il "Castello delle urla
strazianti", dopo le torture la maggioranza di quei pochi che sopravvivono
vengono fucilati, come nella migliore tradizione della decima, alle spalle.
A Maniago nell’attuale palazzo della Pretura, hanno cancellato un gioiellino
di stanza con le pareti dipinte di nero con in rilievo teschi, ossa e scene
di torturati. I partigiani come entrano restano paralizzati. Maniago, Conegliano…
ombre ancor più care e meno lontane, ahimé dimenticate. Non credo
alla teoria sostenuta dal Procuratore Generale durante il processo contro il
tenente Bertozzi che : "Il diavolo, per quanto sia nero, ha una pezzetto
di pelle meno scura". E’ arduo, ci vuole grande impegno e convinzione
ma c’è, c’è chi riesce ad essere veramente nero, fuori,
dentro. Bertozzi, che invidia! L’Ufficio I, Investigativo, in mano sua
era un reparto veramente esemplare. Lui il tenente del principe non si tira
mai indietro, fucilazioni novantuno qua, cento partigiani là, 61 fucilati
dall’altra parte… Piccolo, un po’ tozzo, cammina un po’
di sbieco, passo danzante da pederasta, lo era. Pure la faccia a causa di una
leggera insufficienza del nervo, è asimmetrica e lo rende ancor più
bieco. Il cognac, il cognac che tracanna seduto sul divano, frustino sempre
pronto in mano, fa il resto. "Io non esito davanti all’omicidio"
– dice – "La gente queste cose non le comprende, l’uomo
comune si ribella. Bisogna assolutamente saper uccidere, quando è necessario".
C’è un lettino con carrucola, soprattutto per le donne, stese nude
ovviamente. Una corda legata passa sotto la vita, si tira su, mani dietro il
capo e piedi legati al lettuccio, rimangono ad arco fino allo svenimento. A
volte si lasciano lì tutta la notte. E poi si violentano a turno e si
alternano, calci, pestaggi e frustate. Urla strazianti per un nerbo di bue arroventato
che trafigge parti del corpo, per un anello di ferro a pressione che si stringe
attorno al cranio, stesse diavolerie a Cuorgné e Conegliano. Urla per
spilli sotto le unghie, per fiammiferi e pezzi di carta fra le dita dei piedi
e per bruciacchiature con mozziconi sulle orecchie, narici; urla per lesioni
ai timpani per la perdita dell’olfatto, della vista e degli occhi; urla
per fratture di mani, gambe, costole, piedi. Urla per finte fucilazioni con
tanto di prete, confessione e scarica leggermente alta. Urla per esposizione
al gelo in pieno inverno, immersione nell’acqua gelata. Urla per i testicoli
che si strizzano in vario modo anche se il più divertente è piccoli
strattoni con una cordicella. Urla per la scarnificazione dei polpacci da parte
di cani: in un caso riescono a mordere una settantina di volte lo stesso detenuto;
Urla per lo schiacciamento dei capezzoli delle donne con pinzette! Urla per
tagli al costato e alle mammelle. Urla per le nervate sotto le piante dei piedi;
urla per bruciacchiature mediante piccole esplosioni di polvere pirica fatta
stringere nelle mani. Per tenere alto il morale la truppa costringe con scudisciate
giovani inquisiti a percuotersi fra di loro: piccola arena, meno si menano e
più son menati. Al parroco di ?itto davanti ai suoi genitori si affibbiano
sonore staffilate in faccia seguite da scosse elettriche alle orecchie, bastonate
al punto di non poter staccar la camicia dalla carne per il grumo e dulcis in
fundo strappi ai genitali. I sacerdoti nel ?ittoria e in Friuli sono stati fra
i primi a pagare: del resto proteggono chi non si deve. E poi razzie, incendi,
spedizioni punitive, furti, saccheggi… Ma le urla più belle sono
quelle dovute all’incisione di piccole x sul petto e sulla schiena con
pugnali o corrente elettrica e soprattutto… e soprattutto: una vergata
precisa solca la schiena dalla spalla sinistra al fianco destro; un’altra
dalla spalla destra al fianco sinistro. E così avanti finché non
rimane nitida e incancellabile la sacra X. C’è, c’è
ancora in giro qualcuno che se va al mare senza maglietta, a tutt’oggi
e a gratis, alla Decima fa propaganda. (si mette la giacca e si pettina. Ormai
manca solo il berretto e la cravatta nel caso di divisa della Decima) CUORGNE'
Sono stanco. La mia mente è ormai quasi colma. Riesco a fare solo un
ultimo piccolo passo. A Cuorgné, afa soffocante, estate ’44, piazza
centrale, platani, tavolini di un bar, refrigerio, sollievo. Oggi albergo con
ristorante, allora Caserma Pinelli, nota come "Albergo Bertozzi".
Fra la metà di mille, il caso più significativo, viene rinchiusa,
insieme ad un’altra decina di parenti, la nipote di un comandante partigiano
accoltellato in un’imboscata. Mi ritrovo non per caso fra le mani questo
foglio. Ha soli diciotto anni la staffetta partigiana. E’ giovane e allora?.
La ragazza sa nomi, cognomi, indirizzi, nascondigli? Certo, quindi o parla o…
(ridacchia) diciotto o non diciotto si proceda lo stesso. Violentata sul serio,
uno alla volta, a turno, fuori c’è la fila. La lingua si scioglierà
dopo una giornata come questa? Dopo due nemmeno? Dopo tre, quattro cinque giorni
una settimana ancora niente? E allora avanti per due settimane, avanti per tre
settimane… avanti per un mese continuo. Questa è la fotocopia dell’originale!
(ridacchia poi legge) "Commissione Medica per le pensioni di guerra. Estratto
del verbale di visita subita dall’ex militare partigiano nome, cognome
eccetera. Residente eccetera figlia di eccetera… presso Commissione Medica
gennaio 1964. Infermità riscontrata: "Psiconevrosi ansiosa con note
depressive in soggetto che ha subito violenza carnale e isteromizzato".
Isteromizzato… troppo tecnico come termine, era più giusto scrivere
utero infetto di staffetta partigiana esportato del tutto. Patrioti? I figli
di troia hanno dato e fatto molto di più e molto di peggio. Personalmente
faccio parte di un comitato promotore di un nuovo corpo di volontari. Negri,
viados, puttane dell’est, drogati, zingari, slavi, albanesi, marocchini,
africani, omosessuali. Camice verdi, nere, bianche non è il colore conta
ma intendersi bene sugli intenti finali. Per il momento ma solo per il momento
ci limitiamo semplicemente presidiare e a intimidire. Ma appena ce lo consentiranno…
perché tanti sono i sintomi positivi in giro. Sabato e Domenica 22 e
23 gennaio, Gorizia città medaglia d’oro per la resistenza, ci ha
accolti con tutti gli onori e tutti i nostri gonfaloni. Primeggiava il teschio
con la rosa in bocca a ribadire che per noi la morte ha il profumo di un fiore!
Viva quel sindaco coraggioso! Dall’Austria vengono le idee migliori. Cerca
alleanze per dare finalmente un Nuovo Ordine Europeo. Nel Veneto non si aspetta
altro e anche da noi nel lombardo ci sono tutti i presupposti per poter fare
bene. Ho letto di quell’imprenditore che ha bruciato un extracomunitario
perché gli chiedeva l’aumento e di quel sindaco che voleva spargere
di merda un campo di zingari? Perché non l’ha fatto? Tanto nessuno
protesta, non una interpellanza, di cortei neanche l’ombra. Mai la situazione
è stata così favorevole per un nostro rientro alla grande. Dobbiamo
essere lesti, gagliardi, fieri. A quel sindaco e a quell’imprenditore devo
spedire le nostre riviste, opuscoli vari, invitarli tutti ai nostri raduni sul
lago, comunicare il sito. (si pettina e lucida gli scarponi. Adesso è
vestito completamente da Decima Mas o repubblichino). E anche dal nostro capoluogo…
chi se frega se il figlio o il nipote di Vittoriani protestano perché
non si è rispetta quanto con loro concordato. Errore? Malafede? Non ha
importanza. La parola antifascista deve sparire da ogni targa celebrativa, da
ogni vocabolario! Avere il coraggio di fare come con le motivazioni di certe
benemerenze passate sotto il più assoluto silenzio. Solo con il ceffone
e il bastone si può raddrizzare una genia smidollata, nata stanca. "La
guerra è lo stato naturale dell’uomo maschio". "Le parole
volano, l’esempio trascina". "Siamo cento e cento e cento siamo
forti arditi e sani il fior fior degli italiani C’è a chi piace
far l’amore c’è a chi piace far denaro ma a noi piace far la
guerra con la morte paro a paro" "Tu vivi di illusioni vigliacche
popolo italiano se pensi di poter uscire presto dal tuo inferno!". "Noi
la Patria la portiamo nel sangue e siamo pronti per lei ad ammazzare la nostra
stessa madre e ad inchiodare Cristo ad una seconda croce"… (Mentre
continua con motti e versi di questo tipo la luce si spegne)
copyright 2000 Renato Sarti & Maratona di Milano
Testo e regia Renato Sarti
Con Bebo Storti
Luci Nando Frigerio
Produzione Teatro della Cooperativa e Teatridithalia
Una
data del tuor: domenica 5 settembre 2004 Ore 21.30 Fidenza (Parma)
Teatro Girolamo Magnani
Festival di Lilliput 2004
Ingresso € 10.00
È affidato a Bebo Storti il difficile compito di dare voce a questo nostalgico
delle “belle imprese” del ventennio fascista, oggi impegnato in prima
persona a difesa dell’”ordine pubblico”, contro viados, extracomunitari,
zingari e drogati.
"Mai Morti" era il nome di uno dei più terribili battaglioni
della Decima Mas.
A questa formazione, che operò a fianco dei nazisti nella repressione
antipartigiana, e al magma inquietante del pianeta fascista il personaggio guarda
con delirante nostalgia.
È una figura di fantasia, ma tragicamente realistica: Renato Sarti, drammaturgo
autore da sempre impegnato sui temi della memoria storica, ha voluto ripercorrere,
attraverso i racconti di un uomo “mai pentito”, episodi della nostra
storia ampiamente documentati, per far riflettere, in modo diretto e crudo,
su quanto, in Italia, il razzismo, il nazionalismo e la xenofobia siano ancora
difficili da estirpare.
Il testo di Renato Sarti, presentato nella sua forma breve alla Maratona di
Milano nel luglio 2000, è stato prodotto nella versione completa da Teatridithalia
e ha debuttato nel febbraio 2002 al Teatro dell'Elfo di Milano.
Riceviamo e pubblichiamo