L'OSCURA IMMENSITA' DELLA MORTE
Data: Lunedì, 28 giugno @ 01:47:14 CEST Argomento: I Libri nella Biblioteca Ramblers
L'ultimo libro del migliore scrittore di noir italiano, una lettura che non lascia scampo.
Scrittura semplice, pochi fronzoli, la penna di Carlotto mira dritto al cuore...
QUESTO E' NOIR!!!!!!
Dopo tante parole (e innumerevoli sciocchezze da salotto televisivo) sulla concessione della grazia e sul sistema carcerario in Italia, ci voleva un romanzo che raccontasse le cose come stanno. L’oscura immensità della morte (Ed. e/o, Roma, 2004, € 13,00), ultima creatura di Massimo Carlotto, ci aiuta a ragionare (è proprio il caso di dirlo) sul significato stesso della parola grazia, intesa non come “perdono” ma come una forma di giustizia, che come tale non può essere subordinata al parere delle vittime, le quali sono emotivamente coinvolte e sono quindi le persone meno adatte a decidere della sorte di un condannato.
Raffaello Beggiato, un rapinatore, è in carcere per aver ucciso, durante la fuga dopo una rapina fallita, una donna e il figlio di otto anni, che capitavano lì per caso. Un crimine orribile, per il quale sta scontando l’ergastolo. Dopo quindici anni, Beggiato scopre di avere un tumore e presenta un’ istanza di grazia. In Italia per ottenere la grazia ci vuole il parere delle vittime. In questo caso, il parere viene chiesto a Silvano Contin, marito della donna e padre del bambino uccisi da Beggiato. Contin è un uomo la cui vita è stata distrutta da questo avvenimento, un uomo ossessionato dalle ultime parole della moglie (“E’ tutto buio, Silvano…”), che vive nella disperazione e coltiva il suo rancore e la sua sete di vendetta. Da qui in poi si susseguono una serie di avvenimenti e colpi di scena che portano ad una sorta di “scambio” di ruolo tra carnefice e vittima… Ma ora basta, non voglio anticipare nulla…
La vicenda è ambientata nel Nordest, uno sfondo “tipico”, perfetto per questo romanzo (così come per altri dello stesso autore, uno fra tutti Arrivederci, amore, ciao): il cattolicesimo imperante, l’arrivismo, il perbenismo di facciata, e, dietro tutto ciò, la corruzione, la violenza, gli istinti più bassi. Se noi proiettiamo tutte queste caratteristiche nella nostra società e nei nostri media, otteniamo il tipo di opinione pubblica che oggi in Italia discute del tema giustizia, grazia e quant’altro. Trasmissioni come Porta a Porta che ci propinano ore e ore di lacrime e che ospitano ministri impomatati e phardati, ex piduisti che ci vengono a parlare di giustizia e democrazia. Gente che, tra un Costanzo e un Vespa, tra un Socci e un Giordano, parla del carcere come di un hotel a quattro stelle, pur non essendoci mai stato, se non in visita, a stringere la mano a qualche attempato funzionario. Carlotto ci parla di questo, ci parla di come un detenuto vive la sua condanna, ma questa volta passa anche in rassegna il mondo delle vittime. Il lettore si identifica con Silvano Contin e con il suo dramma, l’incapacità di vivere, ma si identifica anche con Beggiato che, nonostante il suo crimine, si dimostra un personaggio con una certa moralità. Insomma, né buoni né cattivi. In mezzo a tutto ciò abbiamo la freddezza dello Stato nei confronti delle vittime (un dramma familiare viene ridotto ad una opinione positiva o negativa) e la spietatezza nei confronti dei carnefici, condannati alla pena eterna, a dispetto di tutti i proclami sulla funzione rieducativa del carcere.
Insomma, un romanzo nero, che più nero non si può: non si riesce a trovare uno spiraglio di ottimismo in questa società malata, divorata velocemente da un cancro che la sta portando al decesso. Carlotto non lascia via d’uscita, davanti c’è solo l’oscura immensità della morte.
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