LA VICENDA DEGLI OSTAGGI ITALIANI
Data: Sabato, 12 giugno @ 10:46:35 CEST
Argomento: Succede in Italia


LA VICENDA DEGLI OSTAGGI ITALIANI
Riceviamo e pubblichiamo da Alex due articoli di fonte peacereporter.net sulla recente vicenda degli ostaggi italiani in Iraq. Gino Strada nelle sue dichiarazioni ha lasciato intendere che da parte delle autorità italiane c'è stato il pagamento di un riscatto, mentre le autorità e la Croce Rossa Italiana nella persona di Maurizio Scelli smentiscono categoricamente. Eccovi, tratti da internet (altre fonti: corriere.com e inmovimento.it ) approfondimenti e dichiarazioni.


«Nessun riscatto per gli ostaggi» da corriere.com
Il governo e la Croce Rossa smentiscono il pagamento di 9 milioni di dollari
A mettere la parola fine sulla polemica "riscatto sì, riscatto no" è stato proprio chi l'aveva sollevata. Ieri pomeriggio, infatti, Carlo Garbagnati, vicepresidente dell'organizzazione umanitaria Emergency a sapere che mai nessuno, neanche Gino Strada, «ha mai detto di avere le prove che sia stato pagato un riscatto per la liberazione degli ostaggi italiani. Quello che sappiamo - ha spiegato Garbagnati - è che in uno degli ultimi incontri, una decina di giorni fa, con la soluzione della vicenda ormai vicina, i nostri interlocutori ci hanno detto che da una persona di cui non si fidavano molto era arrivata la richiesta di un riscatto di 9 milioni di dollari per la liberazione degli ostaggi». Se questa fosse «pura creazione o qualcosa di realmente accaduto, noi non possiamo certo provarlo».
Una precisazione arrivata dopo una giornata di polemiche tra i volontari di Strada e il commissario in Iraq della Croce Rossa, Maurizio Scelli: «Quali cognizioni di causa - aveva detto - può avere Emergency, i cui rappresentanti se ne sono andati via al primo scoppio di mortaretto? Se ne sono stati comodamente negli Sheraton di Amman e se ne sono stati in giro a far convegni, a sentenziare, a pontificare sulla realtà nella quale noi dalla mattina alla sera, in piena notte, e voi lo sapete, andavamo rischiando la vita per portare aiuto a tutte le parti. Ma chi è più credibile?». Pronta la replica di Emergency che ha definito «offensive» le affermazioni di Scelli.
«Riscatto, no. Soldi per oliare contatti e pagare gli informatori, ovviamente sì». A parlare è una fonte dell'intelligence, che ribadisce la versione del sequestro e della liberazione degli italiani che finora è andata per la maggiore. E cioè: nessun riscatto, come ha ribadito ieri il premier Berlusconi, ma - come si legge in una nota di Palazzo Chigi - «una operazione militare delle forze speciali della coalizione in collegamento con l'intelligence italiana e d'intesa con il governo». Tutto il resto sono «fantasie o falsità». Che però continuavano ancora ieri a tenere banco. La polemica rovente tra Emergency - con Gino Strada che dice di aver saputo da sue fonti che il governo italiano avrebbe pagato 9 milioni di dollari - e la Croce Rossa - con Maurizio Scelli che sostiene di avere «la certezza matematica» che «né il governo, né i servizi segreti, né l'ambasciata hanno pagato un riscatto» - ha finito con l'interessare la procura di Roma, che sta indagando per capire come sono andate effettivamente le cose. E quindi: è stato vero blitz, oppure c'è stata una semplice "consegna" degli ostaggi agli americani? Chi «andava in giro per Baghdad» offrendo soldi per la liberazione? Chi ha intralciato, se qualcuno lo ha fatto, le iniziative umanitarie? Su questi, e altri interrogativi, sia Scelli che Strada saranno probabilmente sentiti nei prossimi giorni dai magistrati, che pensano di ascoltare anche l'ostaggio polacco tenuto prigioniero insieme ad Agliana, Stefio e Cupertino, pure loro in attesa di prossima convocazione.

Iraq, Cri contro Emergency: sono scappati ai primi scoppi
(da Repubblica) da inmovimento.it
La Croce Rossa esclude "matematicamente" che sia stato pagato alcun riscatto; Maurizio Scelli, da Baghdad, grida e strepita, smentisce i nove milioni di dollari definendole "vero e proprio sciacallaggio, non solo ma insulta anche Emergency." Quale cognizione di causa possono avere i rappresentanti di Emergency - dice Scelli - che sono scappati al primo scoppio di mortaretti? Se ne sono stati comodamente allo Sheraton di Amman andandosene in giro a pontificare su una realtà nella quale noi, ogni giorno e ogni notte, andavamo rischiando la vita".
Gino Strada risponde all'offesa, difendendo il lavoro di Emergency: "Siamo in Iraq dal 1995, il nostro personale lavora senza protezione militare e ha curato oltre 300mila persone anche nei contesti dei violentissimi combattimenti che hanno avuto luogo nel Nord del Paese negli anni tra il 1995 e il 1999".
Chi è Maurizio Scelli? Ecco le sue referenze:
Maurizio Scelli, il commissario della Croce Rossa Italiana che ha fatto tanto parlare di sé in questi giorni, è un illustre "trombato" alle ultime elezioni politiche. Scelli si è presentato come candidato alle elezioni - nel 2001 - con Forza Italia, nel collegio 20 del Lazio 1 ( Roma - Gianicolense), perdendo contro Walter Tocci, l'ex assessore capitolino alla mobilità. Per la precisione, Scelli ha preso 28.457 voti, contro i 34.755 di Tocci.
Sicuramente si tratta di un soggetto in carriera e firmato Berlusconi.
Il che rende la sua testimonianza a favore di Berlusconi stesso alquanto discutibile.

Da peacereporter.net : Il tentativo. Per tre settimane in Iraq nel tentativo di trovare una soluzione positiva alla vicenda degli ostaggi italiani.
Attese speranze e qualche retroscena.9 giugno 2004 - Sono passati circa due mesi da quando, con una intervista di PeaceReporter a Abdul Jabbar al-Kubaysi, si erano aperti dei canali diplomatici tra Emergency, PeaceReporter e la guerriglia irachena che teneva prigionieri i tre italiani. Ci avevano fatto sapere che il gruppo che gestiva gli ostaggi aveva deciso di liberarli. Ma non al governo italiano, o a istituzioni ad esso legate, come la Croce Rossa Italiana. Li avrebbero consegnati ad una rappresentanza del .popolo della pace.. Il 28 di aprile una giornata frenetica: oltre alle telefonate tra la redazione di PR e Jabbar al-Kubaysi, si decide di mandare un segnale, e per tutto il pomeriggio si cerca di produrre, con la necessaria riservatezza, un videomessaggio che racconti alla guerriglia irachena la paradossale situazione italiana. La maggioranza di cittadini e' del tutto contraria alla guerra e all'occupazione irachena, ma il governo, violando costituzione e buonsenso, preferisce mantenere stretti i rapporti con l'amministrazione Usa. .Con il ritiro degli spagnoli . arriva a dire il Presidente del Consiglio . siamo diventati i migliori alleati degli Usa., frase che certamente non aiuta la possibile trattativa tra governo, servizi segreti e guerriglia irachena. Il 29 di aprile, il video prodotto durante la notte precedente (poi in molti se ne assumeranno la paternita' viene inviato alle televisioni arabe e da loro diffuso durante i telegiornali che danno notizia anche della manifestazione organizzata dai parenti dei prigionieri a Roma. E. la prima volta che piazza San Pietro viene aperta a una manifestazione. Anche dal Vaticano arrivano appelli per la liberazione dei tre italiani. E continuano le prese di posizione del Santo Padre contro l'occupazione dell'Iraq. Il 30 di aprile, da Milano parte un pezzo della delegazione italiana, raggiunta il giorno successivo ad Amman da Gino Strada. Ad Amman si intensificano i contatti con i possibili mediatori, e si concretizza quella che prima era solo una vaga possibilità riuscire a ottenerAe un contatto diretto con chi ha in mano Cupertino, Agliana e Stefio. Ma ad Amman ci si rende conto che la situazione e' avvero difficile. Dalla redazione di Milano ci raccontano delle improvvise difficolta' telefonare: invece dei proprietari dei cellulari italiani che si cerca di chiamare, rispondono direttamente gli Stati Uniti d'America. Diventa sempre piu' evidente che alla missione impossibile della nostra delegazione si interessano, e da vicino, anche i servizi italiani. La riservatezza viene infatti rotta da una telefonata che riceviamo la sera del 4 maggio. E' un giornalista italiano, chiama da Roma, ma sa perfettamente dove siamo, chi siamo e cosa siamo a fare ad Amman, e nonostante le nostre preghiere di tenere il tutto riservato, decide di pubblicare la notizia il giorno successivo. A Baghdad, ovviamente i contatti si intensificano, anche grazie all.aiuto del fratello di Jabbar, medico che lavora tra Baghdad e Falluja, molto conosciuto nella zona e rispettato dalle autorita' locali come dalla popolazione. Attraverso la sua mediazione, riusciamo ad avvicinarci sempre di piu' all'ultimo anello della nostra catena. E' lui a rassicurarci sulla salute e sulla sorte degli italiani. La questione, com'era prevedibile, e' molto intricata. Ci sono diversi livelli di gestione degli ostaggi, dal militare al politico. Il gruppo che ha sequestrato gli ostaggi, lo stesso che aveva sequestrato e poi rilasciato (dietro il pagamento di un riscatto) un gruppo di giapponesi, aveva deciso di uccidere gli italiani. E si erano dunque mostrati loro a viso scoperto. Solo dopo e' intervenuto un livello superiore, politico, che ha cercato di prendere in mano la vicenda. Ed e'a questo livello che i nostri interlocutori appartengono. A complicare ulteriormente la situazione, c'e' anche un personaggio, ci dicono, tale Salih Mutlak, che va e viene dall'Italia all'Iraq per trattare una liberazione dietro pagamento di riscatto. Ed e' lui lo stesso che avrebbe fatto da tramite anche nella vicenda degli ostaggi giapponesi. Passano le ore, i giorni, sembra che la vicenda stia per concludersi, e nel migliore dei modi. Prevale forse la gestione politica. Poi, di nuovo, la richiesta di altro tempo da parte del nostro contatto. Non ci spiega il perche' del rinvio, ma guardandoci attorno nella capitale irachena, e guardando le immagini delle torture ai prigionieri di Abu Grahib che scorrono sulla televisione dell'albergo non si fatica a capire perche' la richiesta di un semplice gesto umanitario stenti ad essere accettata, almeno finche' la situazione non migliora un poco. Decidiamo di spostarci. Baghdad non e' una citta' sicura, e soprattutto noi diamo troppo nell.occhio. Per quanto l.a'albergo sia defilato, le voci in citta' le voci girano, e la nostra presenza lìcon un sempre piùu' probabile seguito di giornalisti e osservatori vari complicherebbe solo la situazione. Ci spostiamo nel nord del paese, la' dove la presenza di Emergency e di Gino Strada e' normale. Dopo qualche giorno, una nuova telefonata ci conferma che i tempi si allungano, ma ci conferma anche il buono stato di salute dei tre prigionieri e l'intenzione di risolvere in modo positivo la vicenda. Torniamo in Italia, certi di aver fatto comunque un buon lavoro e di lasciare nelle ottime mani del personale iracheno di Emergency la possibilita' di far tornare in Italia i tre ostaggi. E infatti, domenica 23 maggio ci telefonano da Emergency-Iraq. L'intermediario ha dato appuntamento per il giorno successivo. Ci vediamo, e andiamo insieme in un posto che non ti posso dire al telefono. Proseguono le discussioni, tra gli uomini di Emergency in Iraq e i mediatori. E a noi vengono riportati gli echi di una discussione interna ai gruppi sulla scelta da fare. Fare un gesto politico o privilegiare la trattativa con il governo italiano e i suoi intermediari? ( Maso Notarianni)

Il riscatto.Per i tre ostaggi italiani pagati nove milioni di dollari ? .
Una fonte di PeaceReporter rivela: "Gli ostaggi italiani sono stati consegnati alle forze Usa, non c'e' stato nessun blitz". La consegna sarebbe avvenuta al numero 17 di Zaitun street ad Abu Ghraib. Un vicino conferma: "Gli americani in borghese sono arrivati al mattino e se ne sono andati con quattro persone"
10 giugno 2004 - ''Quella casa al numero 17 di Zaitun Street era disabitata da almeno due mesi. Fino a lunedi'sera tardi (7 giugno, n.d.r.) quando, intorno alle 23, si e' sentito un gran trambusto. Io, che abito al 13, ho visto arrivare alcune auto e fermarsi davanti a quella casa. Sono entrate un po' di persone. Era buio, non abbiamo visto bene. Poco dopo se ne sono andati via ed e'tornata la calma". "Il mattino seguente, intorno alle 9:30, sono arrivate cinque auto militari americane, di colore verde oliva. Si sono fermate davanti a quella casa. Ne sono scesi alcuni uomini vestiti in abiti civili e con gli occhiali scuri. Erano sicuramente uomini del mukhabarat (servizio segreto, n.d.r.) americano. Hanno aperto la porta dell'abitazione, senza forzarla, come se fosse gia'aperta, e sono riusciti subito con solo quattro uomini, che poi abbiamo saputo essere i tre ostaggi italiani e un ostaggio polacco. Li hanno caricati su un furgoncino bianco e se ne sono andati via. Il tutto con la massima calma. Non e' stato sparato un colpo. Nella casa, a parte gli ostaggi, evidentemente non c'era piu' nessuno. Non e'stato assolutamente un blitz militare come e' stato annunciato tre ore dopo. Quelli sono tutta un'altra cosa. Li' si e' trattato di una semplice presa in consegna. Gli americani sono andati lli'a colpo sicuro. Sapevano che gli ostaggi erano stati portati la'. Si erano messi d'accordo. Il vostro governo ha pagato un riscatto: nove milioni di dollari. Qui ormai lo sanno tutti. Adesso pero' basta parlare al telefono, non e'sicuro". A parlare, raggiunto al telefono da PeaceReporter, e' un iracheno, il signor Fahad, che assieme ad altri due suoi vicini, il signor Mohammed e il signor Ibrahim, e' stato testimone oculare della liberazione di Agliana, Cupertino e Stefio. Fahad parla dalla sua casa, al 13 di Zaitun Street, ad Abu Ghraib, il sobborgo occidentale di Baghdad divenuto tristemente famoso per lo scandalo delle torture sui prigionieri iracheni. La sua versione dei fatti e' confermata da un'altra fonte irachena raggiunta da PeaceReporter, vicina al braccio politico della guerriglia. Una fonte che ha voluto rimanere anonima, e che ha fornito la sua versione di tutta la vicenda del sequestro, delle trattative e della liberazione. La fonte inizia facendo un nome, quello di Salih Mutlak. "Mutlak - dice - e' un facoltoso commerciante iracheno arricchitosi con le speculazioni e il contrabbando durante il periodo dell'embargo. Da molti e' definito semplicemente come un 'mafioso'. Lui e' il personaggio chiave della vicenda della liberazione dei tre ostaggi italiani, assieme al gia' noto Abdel Salam Kubaysi (solo un omonimo di Jabbar al-Kubaysi), ulema sunnita e docente all'universita' di Baghdad, salito all'onore delle cronache televisive internazionali per il suo ruolo nella trattativa per il rilascio - dietro pagamento di riscatto - degli ostaggi giapponesi". Secondo la fonte, con Mutlak e con Kubaysi il governo italiano avrebbe trattato segretamente per settimane al fine di ottenere il rilascio di Agliana, Cupertino e Stefio, rapiti il 12 aprile assieme a Quattrocchi, ucciso il 14 aprile. Si scoprira' poi che aveva in tasca un porto d'armi rilasciato dalle forze britanniche e un pass della Coalizione. I contatti tra i nostri servizi segreti, il Sismi, e la coppia Mutlak-Kubaysi sono iniziati subito dopo quei tragici giorni, e gia' il 20 aprile erano cominciate a trapelare notizie sull'accordo con il governo italiano per il pagamento di un riscatto di 9 milioni di dollari. Il 22 era stato lo stesso governatore italiano di Nassiriya, Barbara Contini, a lasciarsi scappare che non c'era nulla da stupirsi del fatto che il governo pagasse un riscatto. "Si e'sempre fatto cosi', aveva detto. Subito dopo aveva smentito questa dichiarazione, e il ministro degli Esteri, Franco Frattini, aveva detto che si trattava di "storie prive di fondamento". Lo stesso giorno, una qualificata fonte dei servizi segreti italiani rivelava all'agenzia Ansa: "La trattativa, avviata da giorni, e' gia' stata definita in tutti i suoi aspetti, sia para-politici, sia economici. Quello che dovevamo fare l'abbiamo fatto". Dopo questa burrasca il Sismi ha protestato per queste fughe di notizie che rischiavano di far saltare le trattative in corso. A quel punto, il governo ha deciso di imporre il silenzio stampa assoluto sulla vicenda. "Le trattative - spiega la fonte - sono proseguite fino a quando, all'inizio di maggio, Salih Mutlak e' andato in aereo a Roma. Ragione ufficiale del suo viaggio: affari. E' rimasto nella capitale italiana per una ventina di giorni, tornando a Baghdad alla fine di maggio con una valigetta piena di soldi. Cinque milioni di dollari, prima tranche di un riscatto complessivo di nove milioni di dollari. Gli altri quattro, questi erano gli accordi da lui presi, sarebbero stati consegnati ai rapitori dopo la liberazione degli ostaggi". Dopo il ritorno di Mutlak con i soldi, nei primi giorni di giugno si e' consumato un duro scontro all'interno delle fila dei guerriglieri iracheni. Da una parte il braccio 'militare' dei guerriglieri, quelli che detenevano materialmente gli ostaggi e che, tramite Mutlak e Kubaysi, erano in contatto con il governo italiano: per loro l'importante era solo incassare il malloppo. Dall'altra parte il braccio 'politico' che non voleva fare la figura di una banda di delinquenti che rapiscono per soldi e che quindi non volevano accettare il riscatto. "Noi ci siamo opposti a questo gioco sporco. Questa storia del riscatto e della messa in scena della liberazione - sostiene la fonte - avrebbe rovinato l'immagine della nostra causa, facendoci passare per dei volgari banditi, e poi avrebbe giovato al governo italiano e quindi prolungato l'occupazione militare dell'Iraq. Noi volevamo consegnare gli ostaggi, senza alcun riscatto, nelle mani di rappresentanti del mondo pacifista italiano, sia laico che cattolico, con cui eravamo gia' un contatto da tempo e con i quali eravamo vicinissimi a una conclusione". Ancora domenica scorsa 6 giugno, i rappresentati della Santa Sede in Iraq si dicevano infatti certi che la liberazione dei tre italiani sarebbe stata questione di ore. Anche il governo italiano sentiva che la questione era giunta a un punto decisivo: venerdi' scorso, 4 giugno, il ministro Frattini ha annullato una sua importante visita a Tokyo per "motivi familiari". Forse quello e' stato un giorno decisivo. "Alla fine - prosegue la fonte, con tono infuriato - l'hanno spuntata i 'militari' senza scrupoli, che nei giorni scorsi, assieme a Mutlak, hanno organizzato in gran segreto il trasferimento dei tre ostaggi italiani dal loro luogo di detenzione, cioe' Ramadi, un centinaio di chilometri a ovest di Baghdad, fino alla periferia occidentale della capitale, nel sobborgo di Abu-Ghraib. I tre sono stati lasciati in una casa e poi la loro posizione e'stata comunicata ai servizi italiani e a quelli americani perche' li venissero a prelevare. Il loro piano era di far sembrare tutto come un blitz militare che si concludesse con l'arresto dei sequestratori. Ma non e' andata cosi'. E in effetti, fonti vicine ai servizi italiani hanno rivelato che i due arrestati effettuati in connessione con il presunto blitz erano in realta' solo due pastori iracheni, che nulla avevano a che fare con la guerriglia e che erano stati pagati per farsi trovare la'. Di certo, il fatto che a condurre l'operazione siano stati militari americani, e non italiani, preclude alla magistratura una effettiva indagine sui "liberatori". In Iraq, al mercato nero delle armi, un kalashnikov costa tra i venti e i trenta dollari. Con nove milioni di dollari se ne possono comprare centinaia di migliaia. (Enrico Piovesana)






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