"Il «Che», buon film on the road tra Don Chisciotte e Easy Rider" da l'Unità del 20 maggio 2004
RECENSIONE "I DIARI
DELLA MOTOCICLETTA"
"Il
«Che», buon film on the road tra Don Chisciotte e Easy Rider" da l'Unità
del 20 maggio 2004
I «diari della motocicletta»,
così come Che Guevara li aveva raccolti in un libro che in italiano si intitola
LatinoAmericana (appena riedito da Feltrinelli per la modica cifra di
5 euro), erano un romanzo di formazione, l'incontro con la povertà della «Maiuscola
America», il sogno di udire prima o poi «il grido belluino del proletariato
trionfante». Insomma, la trasformazione del giovane borghesuccio argentino Ernesto
Guevara, destinato a un matrimonio d'interesse e a una sicura laurea in medicina,
nel «Che», futuro leader rivoluzionario nonché icona da sezione di partito,
da negozio di magliette, da curva di stadio. Tutto ciò che sappiamo del «Che»
- anche, come no?, la sua mutazione in santino - nasce da lì, da un viaggio
lungo tutta l'America Latina compiuto assieme all'amico Alberto Granado dal
dicembre del 1951 al luglio del 1952. Una simile storia non poteva non diventare
un film. Gianni Minà ci ha girato intorno per anni, coinvolgendo in tempi diversi
Ettore Scola e Luis Puenzo, e arrivando infine ad un produttore di lusso come
Robert Redford, che per fortuna è stato sufficientemente illuminato da assoldare
un regista sudamericano e imporre un cast ispanico («il Che non può dire okay»,
è stata la massima che ha guidato Redford: muchas gracias, Bob; per altro, con
tutti gli ispanici che ormai vivono negli Usa, potrebbe essere una scelta intelligente
anche sul piano commerciale). Il progetto è finito nelle mani del brasiliano
Walter Salles, che poteva anche distruggerlo: per fortuna lo stile pseudo-neorealista
del suo Central do Brasil ha prevalso su quello videoclipparo-neocolonialista
di Abril despedacado. Salles ha fatto un film onesto. Si è messo al servizio
degli attori (il messicano Gael Garcia Bernal è il Che, Rodrigo de la Serna
è Granado) e dei paesaggi, «sospendendo» lo stile, facendo parlare il continente.
Il risultato è un affascinante film «on the road» che mescola Easy Rider
con il Don Chisciotte (dove naturalmente il Che è il cavaliere dalla
triste figura e Granado il suo simpatico, debordante, sensuale Sancho Panza).
Ciò che manca, per la serie «vorrei ma non posso», è la nascita del leader:
non basta che Bernal, nel finale, mormori con aria mesta «c'è tanta ingiustizia
in questo mondo» per spiegare come il grazioso giovanotto visto sullo schermo
diventerà un guerriero capace di aiutare Castro in una rivoluzione. I diari
della motocicletta è un ritratto del rivoluzionario da giovane, in cui il
«giovane» finisce per mettere in ombra il «rivoluzionario». Vi regalerà comunque
due ore piacevoli (da domani è nei cinema, distribuito dalla Bim) e vi farà,
garantito, l´effetto che fanno sempre i road-movies azzeccati: l´irrefrenabile
voglia di recarvi nella più vicina agenzia di viaggi. In quanto al Che, il suo
personaggio tornerà presto sugli schermi con la grinta ben più ruvida di Benicio
del Toro in un film che sarà diretto da Steven Soderbergh; doveva dirigerlo
Terrence Malick, che purtroppo si è fatto da parte.