Primo Maggio - da ''l'Unità''
Data: Lunedì, 03 maggio @ 19:11:59 CEST Argomento: La Rassegna Stampa sui Ramblers
Articolo di Daniela Amenta - Unità 1.05.04 - versione online
Di differite Rai non ne sanno molto. E non sembrano neppure molto preoccupati dai tagli censori, dalle telecamere oscurate. A scanso di equivoci hanno esposto i loro striscioni. Uno, che recitava Berlusconi terrorista, Claudio Bisio ha chiesto che venisse chiuso. “Tanto non te lo inquadrano”. Così è stato. Altri sono stati esposti, al contrario. Non verso il palco ma verso la folla. In modo che la gente – dicono mezzo milione - potesse leggerli. Ma in tv non s'è visto nulla di tutto questo.
Comunque, sono tanti in piazza. Loro la diretta se la godono per davvero sotto un cielo bizzoso. Quanti sono? Centinaia di migliaia. Dialetti che si accavallano, volti assonnati, gli zaini, gli ombrelli, le bandiere della pace. L’appello per la fine del conflitto rimbalza da ogni angolo di piazza San Giovanni, a Roma. Non c’è bisogno di parlare, scomodare riflessioni complicate. Basta un drappo con i colori dell’arcobaleno. Basta mescolarsi tra queste facce-bambine che ridono, tra questi ragazze e ragazze, tra i padri e le madri e i figli, tanti.
Una folla immensa, come al solito. Che scherza con le prime parole di Claudio Bisio. Che chiede una cosa sola: "Ironìa, mi raccomando. A chi ci censura una cosa sola: ironìa". Folla che ondeggia. E ancora più consapevole che questa volta, maggio 2004, partecipare ha anche un altro significato. Vuol dire ribadire la vita contro la morte. Una festa a dispetto della guerra, del terrorismo, della paura. C’è uno spicchio dell’Europa dei popoli, qui a San Giovanni. L’Europa che si allarga, che campeggia come slogan scelto dai sindacati confederali sul palco mastodontico, un moloch tecnologico sotto le arcate della basilica. L’Europa nostra, loro, dei giovani che intonano una vecchia canzone di Fabrizio De Andrè: “Dormi sepolto su un campo di grano….” . “La guerra di Piero” che risuona, e commuove. Mille papaveri rossi, mezzo milione di fiori di campo per le vittime di qualunque violenza. Chissà se censureranno anche questa i signori di viale Mazzini. Chissà se per rispettare la par condicio trasmetteranno uno spot pubblicitario, spegneranno le note, silenzieranno il coro gigantesco.
Ma nonostante tutto, e tutti, è qui la festa. Per davvero. Una festa per la pace, il lavoro e l’equità sociale. Tre parole-chiave scelte da Cgil, Cisl e Uil a sintetizzare un pensiero che parte da una piazza romana e vorrebbe attraversare il Continente in lungo e in largo. Un pensiero da esportare oltre l’Unione Europea. E da cantare, oggi che è il primo maggio. Musica sia, allora. Claudio Bisio presenta ospiti e protagonisti. Non ci sono le star straniere degli anni precedenti, i grandi nomi. L’importante è esserci. “Libertà è partecipazione”, avrebbe detto un altro artista. Uno scomodo e difficile come Gaber, cantore del disagio e della fatica di questi nostri “Anni affollati”. Troppo scomodo il signor G. e controverso. Così ci accontenta di Piotta che rifà il verso a Celentano. “Chi non lavora non fa l’amore”, inno pop per i disoccupati di ieri e di oggi. La gente balla e quello che accade sul palco sembra solo il contorno della festa in piazza. La Premiata Forneria Marconi omaggia Faber, l’amico fragile, con “Il Pescatore” e “La canzone di Marinella”. Sembra di rivederli assieme, e sono passati 25 anni: il cantautore di Genova e la band progressive, primo esempio di contaminazione tra generi. Sale sul palco Enrico Capuano, vecchio cuore combattente. Dà la stura alla voglia di dire in barba alla censura con una tarantella che scandisce: “Basta guerra, basta. Vogliamo la pace”. La piazza si scalda. E quando è il turno dei Modena City Ramblers partono i cori, da stadio, spontanei. Cori dal fondo della piazza: “Chi non salta Berlusconi è”. Tutti a saltare, ovvio. Curioso che nel 2004 la canzone della rivoluzione sia ancora “Bella Ciao”. Appena si riconoscono le note, Bisio finge di interrompere la band. “Ma che fate? Non si può”. E i Modena: "Siamo in differita di una settimana. Per noi è il 25 aprile”. Via, allora. “Una mattina mi sono svegliato…..”. Ed è un inno che canticchiano perfino gli uomini e le donne della Croce Rossa impegnati a porgere bottiglie d’acqua minerale e prestare soccorso. L’inno della resistenza cantato con pugni chiusi che stringono cellulari d’ultima generazione. Si balla, si difende e si fotografa col telefonino stretto nel palmo della mano. Ed è quasi apoteosi quando è il turno di Caparezza, matto e bravissimo. Energia allo stato puro con quel reggae schizzato di hardcore. Lui che dice: “Per facilitare l’opera alla censura, farò il gesto della forbice. Ecco, potete iniziare a tagliare. Sono di Molfetta, che è vicina a Melfi. Qui i lavoratori che protestano sono stati picchiati e insultati. Io non vengo da questo Stato. Io vengo dalla luna”. Bandiere che si incrociano: dell’Ulivo, della pace, quelle rosse con il profilo del Che, quelle verdi degli ecologisti, quelle rosse di Rifondazione. Striscioni fatti in casa, “Ciao dall’Isola del Giglio”, sciarpe della squadra del cuore. Un popolo in movimento. Un fiume allegro. La vita a dispetto della morte. Ecco cos’è. Tutto così semplice, sorprendentemente facile.
E poi i Verdena, i poppettari alla Sinigallia e Venuti, e i rocker ruggenti come gli Afterhours, il rapper Frankie Hi Nrg e il folk da combattimento di Peppe Barra prima del gran finale con il “Testamento di Tito”. E ci sono le signore, le signorine. “Anche se siamo donne paura non abbiamo”. C’è Nada che ha una voce altisonante. Bella, pastosa. Melissa Aud Der Maur, la fascinosa ex bassista delle Hole che ipnotizza il pubblico maschile con una minigonna vertiginosa, Cristina Donà, Paola Turci che dedica un brano ad Adriano Sofri. C’è la taranta ipnotica, tradotta in chiave contemporanea da Stewart Copeland, col supporto di Rais e una banda meticcia. C è Ferretti, l’ex muezzin dei Cccp Fedeli alla Linea, accompagnato da Canali e Maroccolo. Nel backstage, è un via vai di chitarristi e cantanti che si interrompe per qualche minuto, quando si presentano i segretari dei tre sindacati. Pezzotta, della Cisl, lo dice chiaramente: “La Rai avrebbe potuto evitare la differita. Non ce n’era bisogno”. Concetto ripreso da Epifani, della Cgil: “E’ stata dimostrata, da parte dei ragazzi e del cast artistico, grande responsabilità”. E’ vero, ma è anche vero che i musicisti sembra si siano, quasi, autocensurati. Non abbiano voluto dire di più, aggiungere. Tranne rare eccezioni. Cisco dei Modena difende la scelta: “Cercavano il pretesto? Non gliel’abbiamo fornito”.
Continuano ad arrivare. Sono mille, mezzo milione di papaveri rossi. E’ la vita che suona, spintona, sgomita, non s’arrende al silenzio. La vita che partecipa, scalcia, sorride, tiene in mano un pezzo di stoffa iridata. La sventola. Pace, lavoro, equità sociale per l’Europa della gente. Piero è qui. E canta assieme a noi.
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