Paolo Scaroni, vittima di uno Stato distratto‏
Data: Venerdì, 25 settembre @ 16:12:35 CEST
Argomento: Succede in Italia


Una lettera alle alte cariche dello Stato

Ill.mo Ministro degli Interni
p.c. Presidente della Repubblica
p.c. Presidente del Consiglio
p.c. Ministro di Giustizia
p.c. Sindaco di Brescia
p.c. Prefetto di Brescia
p.c. Questore di Brescia
p.c. Sindaco di Verona
p.c. giornali e tv

scrivo questa lettera alla vigilia dell’anniversario di una data che miha cambiato la vita: il 24 settembre del 2005. Mipresento: sono Paolo Scaroni, abito a Castenedolo, piccolo paese dellaprovincia di Brescia. Eroun allevatore di tori. Eroun ragazzo normale, con amicizie, una ragazza, passioni, sani valori -anchesportivi- e la giusta curiosità. Facevo infatti molto sport e viaggiavoquando potevo. Erosoprattutto un grande tifoso del Brescia. Unapersona normale, come tante, direbbe Lei.


Oggi non lo sono più (per la verità tifoso del Brescia lo sono rimasto, sebbene non possa più vivere la partita allo stadio
com’ero solito fare: cantando, saltando, godendo oppure soffrendo).

Tutto è cambiato il 24 settembre del 2005, nella stazione di Porta Nuova a Verona.

Quel giorno, alla pari di migliaia di tifosi bresciani -fra i quali molte famiglie e bambini- avevo deciso di seguire la
Leonessa a Verona con le migliori intenzioni, per quella che si preannunciava una sfida decisiva per il nostro campionato
di serie B. Finita la partita, siamo stati scortati in stazione dalla polizia senza nessun intoppo o tensione. Dopo essermi
recato al bar sottostante la stazione, stavo tornando con molta serenità al treno riservato a noi tifosi portando dell’acqua al
resto della compagnia (era stata una giornata molto calda ed eravamo quasi tutti disidratati). Tutti gli altri tifosi erano già
pronti sui vagoni per fare velocemente ritorno a Brescia. Mancavano pochi minuti ed i binari della stazione erano
completamente deserti. Cosa alquanto strana visto il periodo, l’orario e soprattutto la città in cui eravamo, centro nevralgico
per il passaggio dei treni.

Improvvisamente, senza alcun preavviso o motivo apparente, sono stato travolto da una carica di “alleggerimento” del
reparto celere in servizio quel giorno per mantenere l’ordine pubblico e picchiato a sangue, senza avere nemmeno la
possibilità di ripararmi. Sottratto al pestaggio dagli amici (colpiti loro stessi dalla furia delle manganellate), sono entrato in
coma nel giro di pochissimo e quasi morto.

Dopo circa venti minuti dall’aver perso conoscenza sono stato caricato su un’ambulanza -osteggiata, più o meno
velatamente, dallo stesso reparto che mi aveva aggredito- e trasportato all’ospedale di Borgo Trento a Verona. Lì sono
stato operato d’urgenza. Lì sono stato salvato. Lì sono tornato dal coma dopo molte settimane. Lì ho passato alcuni mesi
della mia nuova vita. Una vita d’inferno.

Nel frattempo la mia famiglia, in uno stato d’animo che fatico ad immaginare, subiva pressioni e minacce affinché la mia
vicenda mantenesse un basso profilo.

Ai miei amici non andava certo meglio, nonostante tutti gli sforzi per far uscire la verità.

Ovviamente, alcune cose di cui sopra le ho sapute molto tempo dopo la mia aggressione. Il resto l’ho scoperto grazie al
lavoro del mio avvocato.

Dalla ricostruzione dei fatti e tramite le tante testimonianze, emerge un quadro inquietante, quasi da non credere; ma
proprio per questo da rendere pubblico.

In seguito alle gravissime lesioni subite, presso la Procura della Repubblica di Verona è iniziato un procedimento a
carico di alcuni poliziotti e funzionari identificati quali autori delle lesioni da me subite. Nonostante il Giudice per le
Indagini Preliminari abbia respinto due volte la richiesta d’archiviazione, il Pubblico Ministero non ha ancora esercitato
l’azione penale contro gli indagati.

Mi domando per quale ragione ciò avvenga e perché mi sia negata giustizia.

Oggi, dopo avere perso quasi tutto, rimango perciò nell’attesa di un processo, nemmeno tanto scontato, considerati i
precedenti ed i tentativi di screditarmi. Oltretutto i poliziotti erano tutti a volto coperto, quindi non identificabili (com’è
possibile tutto questo?), sebbene a comandarli ci fosse una persona riconoscibilissima.

Dopo le tante bugie e cattiverie uscite in modo strumentale sul mio conto a seguito della vicenda, aspetto soprattutto che
mi venga restituita la dignità.

Ill.mo Ministro degli Interni, sebbene la mia vicenda non abbia destato lo stesso scalpore, ricorda un po’ le tragedie di
Gabriele Sandri, di Carlo Giuliani, ed in particolare di Federico Aldrovandi (accaduta a poche ore di distanza dalla mia),
con una piccola, grande differenza: io la mia storia la posso ancora raccontare, nonostante tutto.

Le dinamiche delle vicende sopra citate forse non saranno identiche, ma la volontà di uccidere sì, è stata la medesima.
Altrimenti non si spiega l’accanimento di queste persone nei miei confronti, soprattutto se si considera che non vi era una reale situazione di pericolo: era tutto tranquillo; ero caduto a terra; ero completamente inerme. Ma le manganellate, come
descrive il referto medico, non si sono più fermate.

Forse, ho pensato, oltre alla vita volevano togliermi anche l’anima.

Per farla breve, in pochi secondi ho perso quasi tutto quello per cui avevo vissuto -per questo mi sento ogni giorno più
vicino a Federico- e senza un motivo apparente. Sempre ovviamente che esista una giustificazione per scatenare tanta
crudeltà ed efficienza.

Le mie funzioni fisiche sono state ridotte notevolmente, e nonostante la lunga riabilitazione a cui mi sottopongo da anni
con molta tenacia non avrò molti margini di miglioramento. Questo lo so quasi con certezza: l’unica cosa funzionante come
prima nel mio corpo infatti è il cervello, attivo come non mai. Dopo quattro anni non ho ancora stabilito se questa sia
stata una fortuna.

Ho perso il lavoro, sebbene abbia un padre caparbio che insiste nel mandare avanti la mia ditta, sottraendo tempo e
valore ai suoi impegni.

Ho perso la ragazza.

Ho perso il gusto del viaggiare (il più delle volte quelli che erano itinerari di piacere si sono trasformati in veri e propri
calvari a causa delle mie condizioni fisiche), nonostante mi spinga ancora molto lontano.

Ho perso soprattutto molte certezze, relative alla Libertà, al Rispetto, alla Dignità, alla Giustizia e soprattutto alla Sicurezza.

Quella sicurezza che Lei invoca ogni giorno, e tenta d’imporre sommando nuove leggi e nuove norme a quelle già esistenti
(fino a ieri molto efficaci, almeno per l’opinione pubblica).

Peccato però che queste leggi non abbiano saputo difendere me, Federico, Carlo e Gabriele dagli eccessi di coloro che
rappresentavano, in quel momento, le istituzioni.

Ill.mo Ministro degli Interni, alcune cose mi martellano più di tutto: ogni giorno mi domando infatti cosa possa spingere
degli uomini a tanto. Non ho la risposta.

Ogni giorno mi domando se qualcuna di queste tragedie potesse essere evitata. La risposta è sempre quella: sì.

A mio modesto parere, ciò che ha permesso a queste persone di liberare la parte peggiore di sé è stata la sicurezza di
farla franca.

Sembra un paradosso, ma in un Paese come il nostro in cui si parla tanto di “certezza della pena”, di “responsabilità” e di
“omertà”, proprio coloro che dovrebbero dare l’esempio agiscono impuniti infrangendo ogni legge scritta e non, disonorano
razionalmente la divisa e l’istituzione rappresentata, difendono chi fra loro sbaglia impunemente.

Ill.mo Ministro degli Interni, dopo tante elucubrazioni, sono giunto ad una conclusione: se queste persone fossero state
immediatamente riconoscibili, responsabili perciò delle loro azioni, non si sarebbero comportate in quella maniera ed io
non avrei perso tanto.

Le chiedo quindi: com’è possibile che in Italia i poliziotti non portino un segno di riconoscimento immediato come accade
nella maggior parte delle Nazioni europee?

Ill.mo Ministro degli Interni, io non cerco vendetta, semmai Giustizia.

Mi appello a Lei ed a tutte le persone di buon senso affinché questi uomini vengano fermati ed impossibilitati nello
svolgere ancora il loro “dovere”.

Chiedo quindi che si faccia il processo e nulla sia insabbiato.

Cordiali saluti.

Paolo Scaroni, vittima di uno Stato distratto.





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