A Bologna si manifesta per la chiusura dei CPT
Data: Giovedì, 01 marzo @ 13:53:02 CET
Argomento: Succede in Italia


Sabato 3 marzo 2007: per abolire la Bossi Fini cominciando dalla chiusura dei Centri di Permanenza Temporanea.


Da: www.globalproject.info


Le lotte contro i CPT sono state dal 1998 ad oggi al centro delle istanze dei movimenti. Molti avevano sperato che già nei primi mesi del suo mandato il nuovo Governo mostrasse una chiara inversione di tendenza sulle politiche migratorie, ma purtroppo le anticipazioni ormai ufficiali sulle proposte di riforma della legge Bossi Fini ribadiscono che i CPT non solo non verranno aboliti, ma saranno confermati, ulteriormente finanziati e diversificati per ogni tipologia di migrante, compresi i richiedenti asilo. Più volte esponenti del Governo hanno ribadito che “i centri di permanenza temporanea per migranti sono indispensabili”. Le recenti indicazioni di “svuotamento” dei CPT contenute nel rapporto finale della Commissione De Mistura sono del tutto inconsistenti e contraddittorie finché la detenzione amministrativa resta una misura applicabile ad alcune categorie di migranti, come ad esempio tutti coloro che poco gradiscono l’idea del rimpatrio volontario!

Non solo abbiamo davanti a noi un futuro in cui i CPT saranno mantenuti, estesi e migliorati in Italia, ma dobbiamo anche considerare che prosegue a grandi passi il processo della loro esternalizzazione verso i Paesi di transito dei migranti dal momento che nel nord Africa e nell’Europa dell’Est costano ancora meno ed è ancora più difficile sapere cosa succede al loro interno. Questa è la ragione per cui il Governo attuale non ha messo in discussione gli accordi firmati da Berlusconi con la Libia o la cooperazione per la quale l’Italia partecipa con Spagna, Senegal e Malta alla sorveglianza militare delle coste dell’Africa occidentale e settentrionale nel progetto Frontex e nel progetto Giasone.

Dalla loro istituzione ad oggi la funzione dei CPT si è gradualmente trasformata, passando da luogo di espulsione a strumento di gestione della migrazione; sono quindi perfettamente interni ai processi di accumulazione e, al contrario di quello che alcune forze politiche governative pensano, funzionano talmente bene da divenire paradigmatici per lo sfruttamento del lavoro migrante. La riforma Ferrero-Amato a cui sta lavorando il Governo non intende sciogliere quel rapporto schiavistico che connette obbligo al lavoro e diritto al soggiorno e che è la leva sulla quale si regge il processo di sfruttamento, ma al contrario lo rafforza con nuovi meccanismi, garantendo così una continuità assoluta con il quadro stabilito dalla Bossi Fini.
In questo contesto ritornano quanto mai attuali le istanze dei movimenti contro la precarietà e per la libertà di circolazione: di fronte alle proposte di potenziare i sistemi di controllo e di sottomissione della forza lavoro migrante da parte del mercato economico attraverso le quote flussi triennali, lo sponsor o le liste di collocamento presso le ambasciate italiane, resta imprescindibile ribadire il diritto al soggiorno per tutti i migranti slegato dal rapporto di lavoro, che si dovrebbe tradurre in un sistema di regolarizzazione permanente di tutti i migranti presenti sul territorio, nell’accesso libero al mercato del lavoro da parte dei migranti in modo che questi siano a tutti gli effetti equiparati ai lavoratori nativi e nell’apertura delle frontiere, in primis di quelle europee.

Dalla mobilitazione contro il CPT di Trieste nel 1998, che ha reso possibile la chiusura di quel primo CPT italiano, i cicli di resistenza contro le frontiere continuano anche ora, tanto nei nostri territori, quanto ovunque nel mondo. Da anni la battaglia per la chiusura di tutti i centri di internamento per migranti si colloca sempre più in uno scenario europeo, articolandosi tra mobilitazioni ed iniziative - sempre più spesso coordinate tra loro - che in ogni paese dell’Unione Europea continuano a porre l’urgenza della fine delle politiche di detenzione e di deportazione dei migranti.

Nei periodi più recenti, infatti, molti dei dispositivi emblematici dell’asservimento della forza lavoro migrante al capitale sono stati target di vere e proprie campagne europee, ricordiamo tra le tante la campagna Deportation Class contro il business di decine e decine di compagnie di volo che garantiscono i viaggi dell’umiliazione con cui i migranti senza permesso di soggiorno vengono espulsi dall’Europa, così come le ripetute iniziative di sabotaggio di centri di detenzione, ad esempio l’assalto al CPT di Bari Palese che ha agito il diritto di fuga per una quindicina di migranti nel luglio 2004 in Puglia, o l’invasione e lo smontaggio del costruendo CPT di Barcellona lo scorso giugno o ancora l’assedio al CPT sloveno di Postumia (Postojna) lo scorso luglio, momenti che hanno visto la partecipazione di attivisti provenienti da diversi paesi europei nonché una reazione fortemente repressiva, sia in termini militari che giudiziari.

A partire dalla lotta per la chiusura dei CPT, le reti di movimento europee hanno inoltre sviluppato una critica condivisa alla crescente precarietà nel lavoro, individuando un terreno comune per le battaglie dei lavoratori nativi e dei lavoratori migranti, nelle quali le richieste di una regolarizzazione permanente per ogni migrante senza permesso di soggiorno e quella di una cittadinanza europea di residenza sono rivendicate insieme al diritto al reddito e ad un salario universale di cittadinanza.

Oggi queste lotte si sono estese, basta osservare quanto siamo stati capaci di fare nel corso della Terza giornata di lotta globale del 7 ottobre scorso che ha raccordato decine di realtà europee - dall’Italia alla Russia, dalla Polonia alla Spagna - e, per la prima volta, di diversi paesi dell’Africa, che in queste settimane stanno continuando le mobilitazioni contro i centri di detenzione e le deportazioni verso i deserti finanziate dall’Unione Europea. Negli USA lo straordinario movimento dei lavoratori e delle lavoratrici latinos sta scuotendo il paese ventre della guerra globale con le richieste di una cittadinanza non vincolata allo sfruttamento. Il Subcomandante Marcos, dal muro di confine di Tijuana, ha messo le lotte dei migranti all’ordine del giorno dell’Altra Campagna zapatista. In Italia, infine, non si fermano le decine di iniziative pubbliche di resistenza della Bossi – Fini e di denuncia del legame perverso e strettissimo tra quadro normativo, CPT e sfruttamento feudale del lavoro migrante.

A Bologna il taglio dei budget per le politiche sociali deciso dalla Giunta Cofferati ha determinato la messa in esercizio di una campagna di deportazione degli immigrati irregolari.
Via il problema, via il costo del problema.
Contestualmente, il CPT di via Mattei è diventata un’utile leva per il controllo del lavoro migrante e per l’abbassamento salariale. Il migrante clandestino è esterno alla contrattazione collettiva ed è oggetto della precarietà più feroce. A Bologna, non solo nei campi di pomodoro di Foggia, è normale per un migrante non essere pagato dietro il ricatto della deportazione in via Mattei. C’è un’oggettiva sinergia tra sfruttamento del lavoro e gestione del CPT: le retate di Polizia e Carabinieri sono tra loro orchestrate e pianificate affinché mensilmente specifiche parti della composizione del lavoro ne siano oggetto.

Anche a Bologna i movimenti combattono il carcere etnico di via Mattei dal 1998: lo hanno invaso, denunciato, letteralmente smontato, hanno sostenuto ed appoggiato le tante fughe di migranti, hanno attaccato la catena logistica della deportazione sabotandone il business, invadendo l’aeroporto, sanzionando le aziende che ne gestiscono l’esercizio ed il catering, invadendo il Tribunale dei Giudici di Pace che convalidano il trattenimento in queste carceri etniche.

A tutti coloro che non hanno smesso di lottare e resistere alla vergogna rappresentata da queste carceri etniche vogliamo proporre di costruire insieme una grande manifestazione nazionale a Bologna il 3 marzo contro lo sfruttamento della precarietà migrante, per un’Europa diversa, sociale e solidale, nella quale ogni donna o uomo abbia diritto ad esistere con dignità indipendentemente dal Paese di origine.

Una giornata che imponga all’agenda del Governo la chiusura immediata di queste carceri, lager della nostra epoca.

TPO, gennaio 2007


**ribellarsi al presente è sovvertire il futuro**



Carlo Lucarelli, scrittore; Stefano Benni, scrittore; Tano D’Amico, fotografo; Gianmaria Testa, cantautore; Renato Sarti, scrittore; Marco Revelli, scrittore; Alessandro De Giorgi, scrittore e docente universitario; Moni Ovadia, attore e regista; Erri de Luca, scrittore; Subsonica, Militant A e Assalti Frontali; Sandro Mezzadra, scrittore e docente universitario; Don Andrea Gallo; Alessandro Dal Lago, sociologo

Riceviamo e pubblichiamo.



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