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Elezioni USA 2004

Riceviamo e pubblichiamo. Articolo inviato da woland il Venerdì, 05 novembre @ 12:37:58 CET

Riporto un articolo di Liberazione, esso termina con una speranza ottimistica, eccessiva a mio modo di vedere; ma sperare non nuoce, l'importante è non abbandonare la lotta, il nostro grido di pace e di giustizia non deve fermarsi, prostrato, al voto americano.
Adelante compagni, su la testa... si va avanti.

di Raniero La Valle
La storia avrebbe parlato chiaro se una slavina elettorale avesse travolto Bush e la sua setta. Avrebbe detto che i potenti sono deposti dai troni. Avrebbe detto che una guerra fondata su una consapevole menzogna e una politica di dominio mascherata come guerra di civiltà non possono sopravvivere a una verifica elettorale in un grande Paese democratico. E' quello che molti si aspettavano.
Ma così non è stato. La maggioranza degli elettori americani ha votato per Bush nel giorno in cui bombardava Falluja. Certo gli abitanti di Falluja non avrebbero votato per Bush, come i palestinesi non voterebbero per Sharon, ma gli abitanti di Falluja e di Gaza non votano nelle elezioni americane. I centomila morti della guerra irachena, che senza Bush sarebbero ancora in vita, non sono stati riscattati. Resta allora la domanda: da dove viene la salvezza delle vittime? Se non viene da Kerry, se non viene da un cambio alla Casa Bianca, vuol dire che deve venire in qualche altro modo; deve venire da un cambiamento più profondo, da una conversione, da una novità di pensiero e di politica.
La storia non ci ha parlato di questa novità nelle elezioni americane, dove anche i poveri, come ha scritto il "New York Times", hanno votato per i ricchi. Ma forse la storia per svelarsi ha bisogno di un'analisi più raffinata.
Anzitutto la storia ha i suoi tempi. I mutamenti storici hanno bisogno di una lunga preparazione. Anche le rotture rivoluzionarie, che sembrano improvvise, sono in realtà il frutto di un lungo accumulo di eventi. In America nulla era preparato per la pace; la pedagogia della guerra aveva dominato sovrana da tutti i luoghi del potere, aveva a lungo goduto della complicità o del silenzio del partito democratico, ed era assai difficile che un'alternativa potesse guadagnare il successo in due mesi di campagna elettorale. Le elezioni del 2004 non si vincono nel 2004; si sono cominciate a vincere nel 1991, col primo Bush, con la prima guerra del Golfo, con le nuove dottrine militari non più difensive ma offensive degli anni 90, con le prime teorizzazioni degli Stati Uniti come unica potenza mondiale, senza superiori né eguali, e con il progetto del "nuovo secolo americano". Kerry, ricattato dall'11 settembre e dall'onda patriottica, non ha osato alzare la sfida a questo livello, ha attaccato i modi ma non i propositi della presidenza Bush, non ha posto altrove che nella guerra l'identità e il ruolo degli Stati Uniti. Accettando l'ideologia dell'America minacciata dal nemico, non ha tolto al nemico il potere di dettare la politica americana; e quando il nemico si è materializzato nell'apparizione televisiva di Bin Laden, gli elettori sono stati facilmente richiamati a una scelta mitica, che non era tra Bush e Kerry, ma tra Bush e Bin Laden, il suo vero nemico.

Ciò nonostante mezza America ha votato contro Bush, e con tanta determinazione che mai elezioni sono state più combattute e più frequentate di queste. Le lunghe, inconsuete file davanti ai seggi, dimostravano come l'elettorato avesse compreso che l'alternativa era ben più radicale di quella che veniva rappresentata sulla scena dal confronto tra Kerry e Bush. C'è stata una più alta moralità politica in questa mai vista affluenza americana alle urne. Che sia chiara la posta in gioco, questa è la lezione che anche le sinistre italiane dovrebbero apprendere.

E il risultato è che ora tutti sanno che mezza America non vuole la guerra di civiltà, e che se l'America intende dominare il mondo, è solo mezza America che marcerà; e con mezza America il mondo non si può dominare.

Forse per questo il cambiamento che doveva venire con le elezioni avverrà comunque, ed anzi era già avvenuto, come ha rivelato il falco Luttwak nella notte elettorale, con l'abbandono da parte della Casa Bianca del progetto iniziale di restare in Iraq per dieci, quindici anni, fino a che non si fosse riusciti a incorporare l'Iraq, e lo stesso mondo arabo, nel sistema politico occidentale, come si era fatto nel dopoguerra con la Germania e col Giappone. L'Iraq, con la sua resistenza, ha dimostrato di non essere disponibile a questa annessione. Sicché, come ha detto lo stesso Bush nel primo discorso da Presidente rieletto, il problema per gli Stati Uniti è ora quello di ritirarsi dall'Iraq con onore. Una guerra disonorevole che ha mancato i suoi obiettivi, chiede ora di concludersi con una sconfitta con onore. La storia ha le sue astuzie, e anche senza Kerry, attraverso le lotte dei popoli, riapre le sue strade.

Raniero La Valle

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